Ho seguito, con Zampa e Rodolfo Sonego, la sceneggiatura de Il vigile. In precedenza mi era capitato di seguire una sceneggiatura con Benvenuti e De Bernardi, però Il vigile è stato il primo film che ho fatto per intero. Scrivevo tutto a mano, poi ogni sera Sonego mi diceva: «Allora Paolo, rileggi».
Questo era il metodo di Sonego: ogni volta ripartire dalla prima scena e via via… Era proprio un procedere lento: battuta per battuta, scena per scena. Sordi veniva un giorno sì e un giorno no, per lui è stato, fin dall’inizio, un bel coinvolgimento.
Un giorno venne il produttore e ci disse: «A Roma non danno il permesso per girare». E questo perché la sceneggiatura si ispirava a una storia vera, a un vigile urbano che, sulla Cristoforo Colombo, aveva fermato il questore Marzano. Io sono di origine viterbese, mia nonna è una Schenardi, il “Caffè Schenardi” me lo ricordo da bambino, Viterbo la conoscevo bene, quindi proposi timidamente: «Ma perché non andiamo a girare a Viterbo?» «No, che c’entra Viterbo con Roma?».
Il giorno dopo: «Però, senti, l’idea di girare a Viterbo… Siamo vicini a Roma, poi Viterbo è bella, ha un carattere, sembra un vecchio, un antico quartiere di Roma, la gente ancora si parla dalle finestre…». E così è nata l’idea di girare a Viterbo. Io ho una casa a Tuscania, spesso faccio l’autostrada, e ogni volta che passo da Bagnaia: «Andate piano… La curva della morte….». Mi rivedo lì, quel giorno (stavamo girando la scena dell’incidente), con De Sica che doveva tornare a Roma. Aveva una Lancia, non mi ricordo che razza di Lancia fosse, un macchinone, grosso, con l’autista, e nel cofano c’erano due valigie, tutte e due aperte, dove c’erano due camicie, due cravatte… Tutto doppio.
De Sica mi spiegò che aveva due famiglie, due mogli, e ogni volta che tornava a Roma doveva fare due cene: prima andava da una moglie e poi dall’altra. E ogni volta si doveva ricordare quale delle due gli aveva regalato quella camicia o quella cravatta. Sordi, all’ora di pausa, mentre De Sica dormiva su una sedia, gli ha cambiato le camicie, gli ha modificato l’ordine nelle valigie. Quando il lunedì arrivò sul set, De Sica cercò il responsabile. Una delle due mogli l’aveva menato.
Quando abbiamo girato Il vigile a Viterbo era inverno o autunno, perché mi ricordo che a Bagnaia avevano messo le botti vicino alla fontana, dentro le mura, aspettavano di metterci il mosto, quindi il periodo era quello. Una sera Sordi propose: «Volemo annà a fà rotolà le botti?». Credevo che scherzasse, invece l’ha fatto davvero. Mi sembrava di rivivere I vitelloni, Sordi aveva questo senso continuo dell’ironia.
Poi c’era Carlo Pisacane, “Capannelle”, che si era sposato da pochi giorni. Era gelosissimo di questa moglie giovanissima, napoletana, la teneva tutto il giorno chiusa a chiave in albergo. All’ora di pausa, qualche volta diceva: «Paolè, tenghe qualche minuto? Devo correre in albergo» «A che fare?» «La devo fare uscire un poco».
Abbiamo vissuto, in una città che si addormentava presto la sera, le prime serate di tramontana. Mi ricordo l’odore delle stufe a legna e dei camini accesi la sera.
Non vivevamo tutti nello stesso albergo, ma la sera ci ritrovavamo tutti in un ristorante, non lontano dal teatro, vicino a Porta Fiorentina: quello era il luogo del nostro incontro di fine giornata. Solo la notte ci separavamo, per dormire, ma per il resto della giornata stavamo sempre insieme. De Sica meno, perché lui non aveva la stessa frequenza di Sordi sul set.
La prima scena, che girammo proprio a Porta Fiorentina, era la scena dell’ingorgo. Avevamo un certo numero di macchine nostre, poi si creò un vero ingorgo. E tutti se la prendevano con questo vigile, che fischiava.... Il vigile era Sordi, c’era la macchina da presa, ma in pochi lo sapevano. Dopo aver girato questa scena ci fu il problema di districare il traffico. C’erano un paio di vigili, ma non bastavano, perché si era fermata tutta la Cassia. Io, che ero l’aiuto regista, cercavo di aiutare i vigili, chiedevo scusa agli automobilisti.
Mi avvicinai a una macchina, c’era tutta una famiglia dentro: una signora, i ragazzi che guardavano dai finestrini e alla guida c’era il Presidente Leone, che allora era senatore. Me lo ricordo benissimo, perché era arrabbiato: «Ma che è successo!». «Stiamo girando un film», gli risposi. «Un film? Che film?». Cambiò completamente umore, con i figli che gli chiedevano di fermarsi per veder girare Sordi.
Incredibile la scena del comizio politico, a piazza del Comune, con Vincenzo Talarico. Partì in quarta, Talarico. Ad un certo punto aveva finito di dire quello che era scritto sul copione, ma tale era la foga che continuò a parlare. Con Zampa che urlava: «Stop! Basta!». Talarico aveva due altoparlanti dietro, non lo sentiva e andava avanti… Forse è il film che ho riso di più, ho riso proprio dietro le quinte.
Ne Il vigile c’era un personaggio, Luigi Leoni, che Sordi si portava dietro in tutti i film, perché diceva che gli portava pure fortuna. Lo chiamavano “il chiodo”, era un ragazzo magrissimo, altissimo, con un naso enorme, una criniera di capelli fulvi, si definiva “er mejo tacco de Roma”, mi pare facesse il garzone di un fornaio, l’avevo scoperto io in una discoteca del Tiburtino.